PERCHE’ OBAMA HA PERSO: UNA ANALISI CULTURALE T. FERIGO

In particolare le osservazioni di chi rimprovera ad Obama debolezza nel confronto culturale e valoriale mi hanno richiamato alla mente un libro uscito dieci anni fa sul mito dell’antistatalismo americano. Forse per capire la sconfitta di Obama occorre anche partire da lì e impostare, come ha più volte sollecitato P. Krugman un’adeguata battaglia culturale.Come sempre quanto segue non è tutta farina del mio sacco. Sarebbe bello!

 

Uno spettro s’aggira negli Stati Uniti: l’antistatalismo. Dopo i trionfi elettorali dei repubblicani , con l’appoggio del Tea Party, la critica allo Stato è divenuto negli USA il tema dominante. A sentire i repubblicani , l’antistatalismo è una vera panacea politica. Il criterio è assai semplice, unico e imperativo. Là ove lo Stato si mostra troppo presente e costoso, bisogna renderlo discreto e frugale. Il tasso di disoccupazione arriva al 9,6% ? Riduciamo le tasse e ,con le tasche rimpinzate, gli americani stimoleranno loro stessi l’economia. Non c’è bisogno d soldi pubblici. Vi ricordate quando Bush all’accorata domanda della madre “ che si può fare ? “ rispose “ compra, mamma, compra ! “.

La sanità costa troppo ? Privatizziamo un po’ i fondi pubblici ( Medicare e Medicaid) e le leggi del mercato produrranno il loro effetto quasi per magia. E tanto che ci siamo privatizziamo anche le prigioni e le scuole …..Soprattutto le prime hanno molti clienti.

Il vantaggio per i repubblicani di questo discorso anti Stato non è solo dovuto al fatto che funziona come un aggiusta tutto a portata di mano.Vi è anche un elemento culturale, storico, la “nostra tradizione” secondo la destra che “rivuole il suo paese”. Il successo maggiore del tea Party è stato il presentare il proprio antistatalismo come una prova di lealtà civica e di identità nazionale.   Secondo questi ultras del liberismo il genio dei padri fondatori sarebbe stato d’aver immunizzato la Patria contro le tentazioni dispotiche ingabbiando i poteri del Governo federale sia con il sistema “checks and bilance”, ( i tre rami del Governo possono imporsi mutuamente degli ostacoli ), sia per l’autonomia concessa ai singoli stati federati, sia ancora per i diritti individuali stabiliti nei primi dieci emendamenti della Costituzione.

In questa prospettiva , la sconfitta inflitta a Obama è agli occhi dei repubblicani la rivincita della “vera” tradizione americana tradita dal Presidente che , da parte sua non ha avuto la forza di affrontare i repubblicani su questo terreno.La riforma sanitaria approvata in Primavera ,in particolare l’obbligo a contrarre un’assicurazione –malattia , fu denunciata dal Tea Party come anticostituzionale. La stessa tesi spinge i Ministri della Giustizia in diversi stati controllati dai repubblicani ad avviare ricorsi alla Corte suprema con la speranza di ottenere l’abrogazione totale della riforma. Il Tea Party ha diverse volte nel corso della campagna elettorale richiamato lo spirito del 10mo emendamento che riserva agli stati e al “popolo” l’insieme dei mandati al Governo federale che non sono  definiti nel minimo dettaglio. I’estremismo costituzionale è tale che si è giunti a chiedere la revoca di emendamenti che risalgono al 18mo secolo ,( ad es. il 14mo , datato 1866, che attribuisce la cittadinanza in base al principio del diritto di suolo e non di sangue ). J. Boehner il nuovo speaker del congresso ha sostenuto che ogni Legge votata dal Congresso dovrà fare riferimento preciso alle clausole della Costituzione da cui deriva la sua autorità- Un modo per mettere “in frigorifero” lo Stato federale , che, secondo questa tradizione molto americana, si sforza come Gulliver a liberarsi delle catene che l’immobilizzano.

 

Ma se l’antistatalismo è per la destra una tradizione tradita che viene riscattata, per altri si tratterebbe piuttosto di un mito. Questa è la tesi dello storico americano Gary Wills nel suo libro Un diavolo necessario: Storia della sfiducia americana del Governo.  Pubblicato dieci anni or sono, questo studio è di estrema attualità. La tesi di Wills è semplice e la sua argomentazione convincente. Secondo lui, la tesi storica di cui si è impossessata oggi il Tea party, per cui la Costituzione ha diviso i poteri per ridurli, creando uno Stato federale minimo . lasciando indipendenza agli stati federali è falsa. Insomma dice Wills, gli americani non sono mai stati anti Stato, in particolare i padri fondatori, o se lo siamo è per la nostra ostinata volontà a non riconoscere le nostre originie crearci miti funzionali alla politica.

 

Il mito anti Stato comincia con il periodo coloniale e rivoluzionario. Ossia il periodo del pre Stato. Il filosofo Locke non diceva forse che “all’alba dei tempi”, il mondo intero era l’America , per dire che i popoli primitivi, come gli americani, non disponevano di un vero Stato ? Una istituzione dell’epoca rivoluzionaria è, secondo Wills, sovente evocata per dimostrare la capacità degli americani a cavarsela da soli, senza aiuti dello Stato: esempio sempre riportato ,le milizie locali cittadine. Gli americani amano evocare la memoria di questi “piccoli uomini” , cittadini-soldato che, secondo la tradizione (mitica) erano disposti a mobilitarsi in un attimo. Dimostrazione della capacità di autogoverno e persino di abilità strategico-militare.

Ma Mills dimostra, documenti alla mano, che queste milizie contribuirono assai poco alla lotta contro i britannici: furono invece per lo più formate da sbandati non organizzati,poco entusiasti di amor patrio, spesso disertori. Nel 1755 l’ufficiale Gorge Washington si lamentava del loro scarso ordine, come lo faranno più tardi i suoi ufficiali durante la guerra d’indipendenza. L’incompetenza delle milizie si spiega anche con il semplice fatto che non avevano fucili ! Nel suo diario Washington si lamenta continuamente della mancanza d’armi.

Se è così , argomenta Wills , il mito dell’uomo solo con il suo fucile, il suo diritto ad essere armato che si rifa al patriota del 1776 è un falso. C. Heston e la sua associazione per il diritto alle armi sono mitomani.  Eppure anche su questo falso è stata condotta la campagna contro Obama che “ vuole disarmare il cittadino “.

Ma la più parte dei miti anti Stato poggiano sulla interpretazione della Costituzione federale del 1787. Cominciando dalle relazioni tra Governo federale e stati. E’ un errore , scrive Wills, che gli stati abbiano preceduto lo Stato federale e che quest’ultimo esista solo per la benevolenza dei primi. Nei fatti la più parte dei governi statali locali furono creati su ordine del Congresso Continentale ( l’istanza centrale durante la guerrad’indipendenza ) nel 1776. Inoltre i primi tredici stati operavano a stretto contatto, agivano unitamente ,non come una federazione di stati indipendenti. Nel momento del varo della Costituzione federale i legiferatori furono attenti a limitare i poteri degli stati. Il principale architetto del documentp James madison propose un piano che prevedeva un Governo che “ invece che operare sugli stati, dovrà operare senza il loro intervento nei confronti degli individui che li compongono”. Madison sostenne anche che fosse incluso nella Costituzione un diritto di veto del Governo federale sulle leggi degli stati. A. Hamilton si preoccupò del rischio di un “mostro politico di un imperium in inperio” anticipando il timore giacobino dell’”idra del federalismo”.

I costituzionalisti inoltre non intendevano affatto dividere i poteri federali per limitarli.. Il principio della divisione dei poteri secondo Wills deriva dal pensiero illuministico dell’epoca. Lo stesso che diede luogo alla riflessione di A. Smith sulla divisione del lavoro: l’accento è messo sull’organizzazione e il coordinamento, non sulla divisione e la rivalità. La Costituzione non divide i poteri ma li articola secondo una gerarchia di ruoli, evidente nella stessa lettura della Costituzione: si comincia con l’articolo sul potere legislativo, per passare all’esecutivo (art.2) e infine giudiziario. Se ogni parte dispone di possibilità di controllo sull’altra, è per proteggere i loro propri diritti piuttosto che ostacolare quelli altrui.

 

Secondo Wills , quello che gli anti Stato rifiutano di riconoscere è la vocazione degli uomini politici del periodo post rivoluzionario a fondare un potere sovrano nel seno di una Repubblica. Il problema degli americani è di confondere sovranità e potere, a considerare la sovranità stessa come minaccia.

 

E’ così che nasce l’odio per lo Stato: dalla paura di un progetto che ,grazie alla Costituzione, possa fondare un potere sovrano. La tradizione anti Stato lontano dal rinviare agli autori della Costituzione comincia con gli oppositori alla Costituzione., quelli che tra il 1787 e 1789 facevano campagna contro la sua adozione

La storia politica americana diviene dunque lo scenario di un confronto tra la tradizione costituzionale, fondata sulla necessità di un potere sovrano, e la tradizione anti-federalistache interpreta il progetto costituzionale come quello di un potere sottratto al popolo. L’argomento anti stato diviene un’arma politica sempre a disposizione. Sin dal primo decennio dell’era costituzionale , vi è stato chi ha usato l’argomento antistatalista per opporsi a progetti dell’avversario politico. Nel 1789 il Presidente John Adams si vide accusare di dispotismo per la sua legislazione sugli stranieri: James Madison stesso che aveva sostenuto il diritto di veto federale fece una mezza ritirata. Quando nel 19° secolo le tensioni sulla schiavitù tra Nord e Sud aumentavano di tono certi politici del Sud svilupparono la dottrina della “nullificazione”: il diritto di uno Stato di rifiutare una legge federale. Questo fornì l’argomento legale agli undici stati secessionisti del 1860 che provocheranno la guerra più sanguinosa della storia americana (1861-1865).

 

La tradizione antistatalista continua oltre questa guerra. Ci sono quelli che Wills chiama gli “insurrezzionisti”. Appoggiandosi sul secondo emendamento ( che permette alle milizie di armarsi ) essi sostengono che la Costituzione autorizza l’insurrezione armata contro il Governo. E’ l’argomento della National Riffle Association, la lobby dei proprietar d’armi. Ma questo argomento è infondato perché ignora le clausole della Costituzione che definiscono una istanza militare senza appello il Presidente e quelle che puniscono il tradimento. Altri antistatalisti piuttosto che insorgere contro lo stato si appropriano delle funzioni che dovrebbe gestire, dichiarandolo incompetenteE’ in quest’ottica che va visto il Ku Klux Klan quando si opponeva alla politica del Governo dopo la guerra di secessione, o ancora le attività del movimento anti abortista attuale,quando i suoi militanti distruggono cliniche o assassinano medici. Infine ci sono gli anti Stato “individualisti” che si rifanno a Thoureau, agli Hippies degli anni 60.

 

L’analisi di Wills è importante per comprendere il periodo che si apre perché permette di demistificare proposte e argomentazioni che circolano liberamente nei discorsi politici in voga.Se gli Stati ( in USA) sono delle collettività territoriali importanti , con una certa autonomia, non possono accampare alcuna primazia né storica, né politica sul Governo federale ( contrariamente a quello che sostengono gli oppositori alla riforma sanitaria ). Il diritto all’insurrezione è un ossimoro, in USA come altrove.

 

Nello stesso tempo l’opera di wills dimostra che se la lettura antistatale americana è mitica, è un mito che ha la vita lunga. Per diverse ragioni. Il provincialismo della vita americana è stato sempre proprizio alla propaganda anti Stato. Ma soprattutto Wills mostra che l’antistatalismo è legato ad una serie di valori, di passioni politiche che riesce a rianimare ogni volta che attacca lo Stato: l’autenticità, la spontaneità,il tradizionalismo, la religione,il volontarismo; mentre i sostenitori dello Stato sono secondo il medesimo sistema di valori associati all’autorità, il progressismo, l’efficacia,la laicità,le regole.

Colpisce come la serie di valori che Wills lega allo statalismo e all’antistatalismo corrispondono alle immagini rispettive del Presidente Obama e del Tea Party nell’ultima campagna elettorale. Obama fu denunciato dalla destra come autoritario, sostenitore di una efficienza inumana ( programmatore della morte nel caso della riforma sanitaria), socialista, sospetto sul piano religioso di essere un falso cristiano. Ma se i sostenitori di Obama restavano stupefatti del sostegno ottenuto da candidati rocamboleschi come Sharron <Angle ( Nevada) o Cristine O’Donnel ( Delaware), è perché non erano candidati ai quali si chiedeva autorità o efficienza. Il loro discorso antistatalista era in perfetta armonia con la loro mancanza di qualificazione; i loro elettori vi vedevano la spontaneità e l’autenticità nelle loro conoscenze assai approssimative . Il trionfo attuale del discorso antistatalista è anche quello di questi altri valori. Se Obama riesce a rinnovare la tradizione americana dello Stato – perché è ben una tradizione – l’idea che secondo Wills, lo Stato non è un male ma un bene necessario, avrà nello stesso tempo rivalorizzato l’autorità,l’efficacia,il progressismo, la responsabilità,la laicità- tanto il dibattito sullo Stato depassa la questione dello stesso Stato

 

 

T:F

 

 

 

 
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