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CNEL: 900 CONTRATTI NAZIONALI, 31 METALMECCANICI - diamoci una mossa...-

PostDateIcon Ven, 20/04/2018 - 17:35 | PostAuthorIcon Redazione

Dal sito www.ildiariodellavoro.it – Si legge quanto segue. Esistono ben 31 (trentuno!) contratti nazionali dei metalmeccanici, tutti diversi tra di loro, tutti firmati da associazioni d’imprese e da sindacati dei lavoratori. Non si sa con quale grado di rappresentatività della categoria, considerandone il numero. E questo è solo un esempio. Il Cnel, che per statuto raccoglie i contratti nazionali di lavoro (adesso anche quelli aziendali), ha contato nell’ultima rilevazione quasi 900 contratti nazionali. “Un’enormità” commenta Tiziano Treu, il presidente del Cnel. E Cesare Damiano, che della materia se ne intende essendo stato tra l’altro anche ministro del Lavoro, afferma che “siamo ormai in una situazione di disordine”. Molti di questi contratti sono stati perfezionati per creare azioni di dumping. Il gioco è scoperto: due associazioni, una d’imprenditori, un’altra di lavoratori, più o meno fasulle, nel senso che rappresentano pochi o nessuno, si mettono d’accordo per firmare un accordo che preveda minimi salariali più bassi, e poi applicano quel contratto.

Tutto regolare, nessuno può metterci bocca. Questi sono i classici contratti pirata, i più odiosi perché eludono regole etiche, che non dovrebbero essere negate, per guadagnare due lire senza incorrere nell’ira, e nella frusta, di un giudice. Ma ci sono anche contratti firmati solo per affermare o riaffermare la propria esistenza. Non è un caso che l’esplosione dei contratti sia avvenuta negli ultimi anni, con tutta probabilità proprio dopo il perfezionamento del Testo unico firmato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil su contrattazione e rappresentanza. Quell’accordo infatti escludeva dal gioco della contrattazione, almeno quella di alto livello, tutte le associazioni e i sindacati di secondo o terzo rango: e questi hanno reagito facendosi il proprio contratto. Firmo, quindi esisto.

Insomma, una situazione difficile, che avvelena il mondo del lavoro, alla quale occorre ovviare. Il problema è come, con quali strumenti, con quali finalità. Anche perché gli obiettivi sono più d’uno. Non solo sfoltire il numero dei contratti, ma per esempio evitare che lavoratori che operano nello stesso sito, a contatto di gomito, magari facendo lavori uguali o quasi uguali, siano regolati da contratti differenti, che prevedono salari, orari, diritti diversi gli uni dagli altri.  E’ il motivo per cui i sindacati degli edili stanno rivendicando l’applicazione di un solo contratto di cantiere, per evitare che in uno stesso cantiere, per il gioco degli appalti, si applichino una quantità incredibile di contratti differenti.

Per eliminare o almeno sfoltire il numero dei contratti potrebbero bastare le regole sulla rappresentatività, così come stabilito dal Testo unico di Confindustria, Cgil, Cisl e Uil.  C’è da dire che quell’accordo firmato quattro anni fa non è mai stato applicato, per le enormi difficoltà burocratiche, ma non solo, incontrate nell’iter di attuazione. Quindi o si arriva a una legge o non si riesce ad avere regole valide per tutti. E considerando le nubi che si addensano sul nuovo Parlamento, è difficile dire se fare una certa legge sia affare semplice o no.

Ma c’è poi un altro problema, molto importante. Perché le leggi che hanno disposto la decontribuzione della parte di salario decisa in azienda, hanno anche stabilito che queste concessioni siano valide solo per chi applica il contratto più rappresentativo. Nozione quanto mai vaga, perché non esiste un’indicazione precisa, nonostante tutte le specifiche del ministero del Lavoro e dell’Ispettorato del lavoro, che su questo tema si è espresso più volte.  Il legislatore si riferisce ai contratti sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative, ma resta il dubbio di chi abbia in mente riferendo questa nozione. Anche perché c’è da dire che i contratti vanno considerati certamente per i minimi salariali che dispongono, perché il salario è molto importante nel sinallagma del contratto.

Ma il contratto non si esaurisce con l’indicazione salariale, contiene una serie molto lunga di scambi per tutte le altre materie , al punto che la valutazione del contratto deve essere fatta sulla sua qualità generale, sui diversi aspetti che rappresenta e non solo per l’indicazione salariale. L’accordo tra Cgil, Cisl e Uil e Confindustria non entra nel merito, ma forse per avere un po’ di chiarezza sarebbe bene che le parti sociali, nella dizione più ampia e plurale possibile, per evitare esclusioni che darebbero luogo a rivendicazioni, specificassero questa dizione. Chiedere anche questa specifica al Cnel forse non sarebbe la cosa più saggia, considerando gli impegni che già sono stati chiesti a questo organismo.  http://www.ildiariodellavoro.it

Nostra nota di commento. Probabilmente servono alcune cose suggerite nell’articolo… però ben si possono avviare campagne sindacali realmente unitarie – con adeguate risorse organizzative – iniziando con i metalmeccanici e gli edili, per dare uno scossone alle “enormi difficoltà burocratiche” (che saranno mai!) che ostacolano l’applicazione dell’Accordo del 2015 tra le Confederazioni e la Confindustria. Le grandi difficoltà burocratiche forse ben vivono anche negli organigrammi sindacali delle Confederazioni e delle Federazioni di categoria.

Se le difficoltà sono tante e la metà è un po’ lontana….. è bene mettersi subito in cammino!

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